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In occasione dell’anniversario della nascita  delle CLARISSE CAPPUCCINE a Napoli – 19 febbraio 1535 con la bolla Debitum Pastoralis Officii di papa Paolo III – proponiamo di seguito la vita della fondatrice MARIA LORENZA LONGO.

LE ORIGINI DELLE CAPPUCCINE

NELLA «HISTORIA Capuccina»

DI MATTIA BELLINTANI DA SALO’

 Di Maria Laurenzia detta la signora vedova Lunga, fundatrice delle cappuccine di Napoli

 

  1.  Della sua conversione e come miracolosamente guarì d’una infermità incurabile e fondò l’ospitale degli Incurabili

 10.467 Perché in quei primi tempi di questa riforma si fondò il monastero delle monache di S. Chiara in Napoli, le quali si chiamarono poi sempre capuccine, ragionevolmente prima che più oltre si passi, ragioniamo della loro fondazione e della fondatrice.

Fu quel monastero fondato l’anno del Signore 1535 da una signora spagnuola di Catalogna, che si chiamava Maria Laurenzia, di nobil casa detta Richenza, la quale fu maritata in un gentiluomo di casa Lunga, che fu regente della cancelleria del re catolico in Spagna ed era da detto re molto favorito.

E perché detta signora, come prudente e virtuosa, per ter ben regolata la casa sua riprendeva le sue donne quando fallavano e le teneva in freno, era da alcune di loro mal voluta, in tanto che una schiava si risolse di avvelenarla. E occorrendo alla padrona di aver sete in una festa ove ella ballava, chiedendo a bere, la scelerata serva gli diè un vaso d’acqua ove ella avea posto il veleno, di che bevendo restò avelenata. E quantunque vi si facessero molti rimedi, non potè però mai sanarsi bene; ma, salva dalla morte, rimase in tal maniera stroppiata che movere non si poteva. Che fu divina permissione per servirsi di lei a segnalati negoci di onor di Dio e beneficio delle genti.

10.469 Venuto in Napoli il re catolico, e con esso seco menato il regente Lungo, stette in dubbio la moglie per essere stroppiata se dovea seguirlo o rimanersene in Spagna. E consigliandosene col suo confessore, ambi rimasero in conchiusione di doverne fare orazione. La quale fatta consigli olla il confessore che ella mandasse per consiglio e risoluzione di questo fatto da un santo eremita da lei conosciuto, il quale le mandò a dire che ella se ne andasse volentieri a stare col marito, che Iddio l’avrebbe condotta a salvamento e di lei in quelle parti si servirebbe. Il cui consiglio, non ostante che altri molti da ciò la sconsigliassero, ella prontamente adempì.

Stette in Napoli col marito molti anni e venneli gran desiderio di visitare la santa Casa della santissima Vergine di Loreto; il che morto suo marito desegnò mettere in effetto. Dissuadevenla i medici per essere a quel modo inferma, debole e stroppiata; ma potè più l’interna spirazione di Dio, il quale con questo mezo avea ordinato pigliarsela per serva e coadiutrice delle opere sue. Laonde confidata in Dio si mise in viaggio nel modo che alla sua infermità si conveniva.

10.469 Giunta ed entrata in chiesa, addimandò messa; ma per essere l’ora tarda non ci erano più messe. E volendola essa far dire al suo capellano, né pur esso si ritrovava. Comparve all’improvviso un prete non conosciuto da alcuno, il quale addimandava di dir messa. E gli fu concesso e dato il modo di dirla. Ed entrato all’altare della santa Capella si pose alla parte dell’Epistola e ivi celebrò con maniere e cerimonie insolite; di che tutti stavano ammirati. Lesse l’Evangelio del paralitico che era stato infermo 38 anni; e voltatosi disse a quelli che udivano la messa: «Rendete grazie a Dio», e in quel punto sentì la signora un gran tremore, il quale cominciando da’ piedi presele tutta la persona.

Finita la messa trovossi tutta sana; e fatto ricercare il sacerdote per larli la limosina, ritrovato non fu né vi fu chi mai più l’avesse veduto né sapesse onde fosse venuto e ove fosse andato. Ella si levò e liberamente caminò con suoi piedi perfettamente sana, lodando Iddio e  la beata Vergine; che ben conveniva che dalla Regina delle Vergini avesse principio la riforma delle sacre vergini e massimamente di quelle di santa Chiara, la quale innanzi all’altare della beatissima Vergine tagliandosi i capelli consacrò a Dio la verginità sua.

10.470 Fermosi alquanti giorni quivi dopo la ricevuta grazia, ricevendo insieme nuovo spirito di servire alla divina Maestà più nobile e più perfettamente del passato. E a questo effetto prese l’abito delle Terziarie di san Francesco. Onde altre ancora in Napoli, ove ella ritornò, a sua imitazione ferono il medesimo. E tutte unitamenti si posero al servigio di Dio ne l’ospitale degli Incurabili, il quale allora s’incominciava; ed essa, pigliando sopra di sé quel peso, procurava in persona letti e luogo per tenere i poveri infermi infin tanto che si fabbricasse l’ospedale; e si adoperarono a questo effetto alcuni magazeni presso il molo e S. Nicola vecchio, il quale è distrutto. Abbracciò ella con grande spirito questa impresa, pigliando il governo degli infermi, così uomini come donne, con meraviglioso essempio ed edificazione che ella in ciò diede non solo a tutta la città di Napoli, ma fuori ancora, aiutando ella el povere creature non solo per sanità de’ corpi, ma eziandio per salute delle anime.

10.471 Predicava allora in Napoli quel zelantissimo predicatore e santo religioso don Calisto di Piacenza, canonico regolare, per le cui essortazioni e opera si fece l’anno 1519 in Napoli la Compagnie de’ Bianchi, detta «S. Maria succurre miseris», la quale ha per ufficio di aiutare a ben morire con essortazioni e conforti quelli che si hanno a giustiziare.

Questi fratelli, che ordinariamente sono i principali signori di Napoli, ad istanza della signora Lunga si faticarono molto a beneficio del detto ospedale, e vestiti della lor veste bianca andavano ogni sabbato cercando per li bisogni di quello, così del vitto come per la fabrica e altre loro necessità. Onde parve a lei che ormai potesse lecitamente scaricarsi di questo peso, essendovi già altri che lo potevano portare. E a questo fine ella fu importuna ad un signore Ettore Vernaccia genovese, il quale era stato causa principale e compagno con lei alla fondazione di quel pio luogo.

10.472 E stando ella in questa deliberazione, una matina, gita alla messa e tenendo fisso il pensiero in questa sua risoluzione, sentì una voce quasi sensibile che le disse:

«Amavi tu il tuo marito?».

Ed ella rispose:

«Mira!», che viene a dire: Sì, certo che lo amavo.

Seguì la voce:

«Ami tu i tuoi figliuoli?».

Ella di nuovo rispose:

«Mira!».

E soggiunse la voce:

«E me perché non ami tu, il quale ti ho fatte tante grazie e ti ho all’ultimo data la sanità?».

E sentisse dentro illuminata dallo Spirito Santo che ciò detto erale acciò che cari tenesse quei poverelli, perché in quelli è Cristo.

10.473 E fu questa ispirazione cotanto efficace che la fe’ risolvere di non più mai partirsi da quella cura, e confermata in questo santo proposito e con ardore di carità seguendo la impresa, provide con più abondanza all’ospedale di vitto, vestito, letti, e altre cose necessarie, in tanto che egli stava meglio che altri luoghi pii li quali avevano grossissime entrate. E fu cagione che la Compagnia de’ Bianchi, la quale prima si congregava a S. Pietro ad Ara, luogo di canonici regolari, ove abitar dovea don Calisto, si congregasse nell’ospedale allora nuovamente edificato presso a S. Maria della Grazia, che ora si chiama S. Maria del Popolo, che fu cagione di gran beneficio al detto ospedale per le molte limosine, le quali per tal occasione raccoglievansi.

E attendendo ella al governo di quell’ospedale, si essercitava oltra la carità verso gl’infermi e la prudenza e diligenza in ordinare la casa, nelle virtù cristiane, come nell’umiltà, nel digiuno e nell’orazione. Dispregiava se stessa, adoperandosi nel servigio altrui come una serva, di propria mano servendo gl’infermi, massimamente quelli ch’erano più gravi, tutti essortando e consolando. E tanto in questo ella era diligente ed efficace, che i poveri infermi si sentivano molto refrigerati e consolati, e alcuni di loro eziandio dopo la morte di lei si sognavano ch’ella gli visitasse e consolasse, e ne sentivano conforto, come se fosse stata in veglia e il caso fosse stato reale.

10.474 Con tutto questo era a se medesima molto austera e rigida, vivendo molto parcamente e digiunando tutti i venerdì in pane e acqua, né altro il sabbato aggiungendo che un po’ di minestra di pan cotto fatta con l’oglio, e di quello pur pochissimo. All’orazione santa ella era ferventissima, istantissima e molto solecita, e in quella fe’ tanto profitto che molte volte fu sentita a ragionare sensibilmente con Cristo, e ne ricevé la profonda intelligenza delle divine Scritture in tanto che gli uomini letterati imparavano da lei alti sensi e secreti, rimanendo stupiti del gran lume, il quale ella da Dio avea ricevuto. E le persone che stavano in peccato, venendo a lei, per l’efficacia delle sue esortazioni si partivano convertite. E andavano per consiglio gran personaggi a lei. E più volte avvenne ch’ella prediceva le cose future, le quali succedendo infatti secondo che essa predetto avea, la dichiaravano verace e illuminata dallo Spirito Santo.

  1. Di molti santi e meravigliosi effetti della santità sua e come fundò il monastero delle monache dette cappuccine

10.475 Maravigliosi effetti seguirono dalla santità di questa donna, servendosene Iddio nell’opere sue. L’ospedale fu più volte miracolosamente soccorso e sovvenuto. Mancando una fiata il pane e non sapendo quelle di casa che servivano all’ospedale come provedere, comparvero improvvisamente alla porta dell’ospedale dui muli carichi di pane senza sapersi mai donde fossero venuti. Si faceva limosina in quel pio luogo ancora a’ poveri che là venivano a chiedere. E venendo una volta una povera persona, la quale di fame si moriva, a chiedere la limosina, ordinò la signora alle serve che le dessero del pane. E rispondendo esse che non ve n’era e che la matina al desinare non ne aveano avuto a bastanza, essa replicò che cercassero per dargli qualche cosa. E cercando ritrovarono dui cassoni pieni di pan bianco e caldo, fatto senza alcun dubbio per intercessione di questa serva di Cristo per mano di angeli.

10.476 Andò all’ospedale una povera donna spagnuola, piena tutta di mal francese. Accettolla la santa e pietosa governatrice e ne ebbe cura come delle altre, servendola di man propria, rifrescandola e aiutandola. Sanata che fu, essortavala a lasciar il peccato, o restando con le altre a servire l’ospedale o pigliando altro partito in che essa l’avrebbe aiutata. Ma l’infelice, già data in preda al diavolo, non mai acconsentir volle, e ritornasse alla pristina sua abominevole vita. Laonde poco dopo ritornò con la stessa infermità, e fu come la prima volta ricevuta, caritativamente governata e servita, infinché di nuovo ricuperò la sanità. Né per quanti prieghi ed essortazioni fatte dalla santa donna le fossero, volle ella però mai né restar ivi né ritirarsi dalla sua mala vita. Il perché si volse la pietosa signora a Dio e ginocchiata innanzi al Crocefosso pregò dicendo:

«Signor mio, se ha più costei da peccare, falle venire tal infermità che più offender non possa la tua divina Maestà».

Essaudì presto Iddio i caldi e pietosi prieghi di lei; onde poco stette che fu la misera portata sopra una tavola così mal ridotta che pareva un leproso, e non si discerneva in lei umana figura, né si poteva conoscere chi ella fosse se non alla voce. Fu ricevuta e governata infino alla morte, alla quale tosto così orribile infirmità miseramente la condusse.

10.477 Venne una gran peste, per la quale al solito si chiudevano le case sospette, e restò l’ospedale per questa causa serrato un tempo; ma finalmente apertosi andavano gli eletti ogni giorno a visitar gl’infermi per vedere se vi fosse peste e lo stesso facevano con le donne che vi servivano. Avea la signora Lunga una sua carissima compagna, la quale si chiamava suor Maria, donna di grande spirito e imitatrice delle virtù della signora Lunga. Questa, apertosi l’ospedale, senza pigliar cosa alcuna, stava per ispirare.

Il dolore della santa governatrice era infinito, non già per perdere quella sorella cui tanto amava, ma perché morendo quella e discoprendosi il suo male che era pestilenziale, si sarebbe di nuovo serrato l’ospedale. Né trovando ella altro rimedio, si volse all’orazione; e però gitasene ad una capella si pose in terra a ginocchi nudi; orò lungamente e alla fine levandosi come certa dell’ottenuta grazia andossene subito con allegrezza alla inferma e dissele:

«Suor Maria, fammi questo piacere di pigliar alcuna cosa».

Ed ella, quantunque in stato fusse di non poter sentir, tosto sentì e ubidì. Poi le disse che si riposasse; il che ella pur fece. E fra tanto inginocchiatasi di nuovo la devotissima governatrice fece orazione. Svegliossi poco dopo l’inferma sana perfettamente, come se non avesse mai avuto male, e disse che si era sentita come una rugiata sopra, la quale tutta rinfrescata l’avea.

10.478 Così la santa donna con l’orazione liberò e la sorella dalla morte e l’ospedale dal pericolo e incommodo di essere con troppo danno degl’infermi chiuso un’altra volta.

Essa fu quella che introdusse que Pater noster che la sera si dice per le anime de’ defonti.

Andava ella spesso ai luoghi delle meretrici, procurando con ogni istanza di essortazioni, ragioni e offerte, di levarle dal peccato; e quando non poteva guadagnarle in tutto, prostrata avanti loro in ginocchioni, le pregava che almeno il venerdì e il sabato si astenessero dal peccato, e per quei giorni acciò che il bisogno e la ingordigia del premio non le costringesse a peccare, essa le pagava. E quelle che essa guadagnava, tratte di là o le maritava o le teneva seco al servigio dell’ospedale.

Essa fu la prima che accettasse i frati capuccini in Napoli e col suo favore fece loro avere il luogo di S. Effremo, e fa tanto nell’ospedale degli incurabili li raccolse. E dopo nella loro tribolazione non piccolo aiuto diè loro presso Carlo V, il quale avendo cognizione della santità e qualità di questa donna, molto la stimava e faceva caso delle sue parole. Fece essa il medesimo con Paolo III. Il che fu occasione che così accettassero poi la cura del monastero delle monache, il quale ella edificò, come si dirà.

10.479 Essa parimente fu la prima che dié ricetto in Napoli ai padri Teatini, collocandoli in una casa presso l’ospedale nella quale prima, innanzi che si edificasse il monastero, abitarono le monache; e diedesi ella con le monache in governo di detti padri, infinché poi alla cura de’ frati capuccini si sottopose.

Stava presso l’ospedale la duchessa di Termini, la quale per l’addietro, come è costume di cotali signore, attendeva alle vanità e grandezze del mondo; ma presa famigliarità della santa donna, fu dalla forza delle sante parole, orazioni e virtù di quella ridotta ad una santa umiltà cristiana e ad esser pronta ad ogni bene. Onde essa la teneva come sua figliuola spirituale, nodrendola con santi esempi e ammonizioni, facendole fare di molte buone opere. Diedela ancora in governo a’ frati capuccini, i quali la confessavano, consigliavano e indrizzavano, e dieronle l’abito del Ter’Ordine di san Francesco; la qual per tanto lo provedeva ne’ bisogni loro e si ridusse a distribuir le facoltà sue per amor di Dio.

10.480 E incominciatosi per la predicazion de’ frati capuccini le Convertite, furono da queste signore ricevute e aiutate e governate; e la duchessa fe’ loro della sua roba il monastero. Così ella tuttavia profittando nelle virtù si diede con mirabile edificazione di tutta la città di Napoli ad una santa vita, trovandosi quanto era possibile sempre con la santa donna, dal cui consiglio ella pendeva e regolava le sue operazioni. E a lei anco, quando si ritirò nel monastero delle monache fatto da lei, successe nel governo dell’ospedale.

Visse la  santa donna dopo la ricevuta sanità 20 anni, nel qual tempo edificò e governò l’ospedale. Ma desiderosa, come è proprio delle sante persone, da più sempre ampliare il santo servigio di Dio e riportare più abondante frutto, si risolse di fare un monastero di monache vergini. E a questo effetto ne raccolse alcune nell’ospedale.

10.481 Fu questa impresa senza alcun dubbio, come pur anco la esperienza ha dimostrato, intenzion di Dio, il quale adopra suoi ministri come gli piace. Già per sua misericordia risanò questa donna per servirsene nel fatto dell’ospedale e di tante altre cristiane operazioni. Ora per fare il santo monasterio fecela ricadere nella infermità di prima, nella quale a tanto si ridusse  che fu tenuto per fermo ch’ella ne dovesse morire. Onde anco ne ricevè la estrema unzione. Stando ella così inferma, come di sé dimenticava, sollecitamente attendeva a raccogliere le vergini, riscaldandosi ogni ora più per farne un monasterio. Né per quanto fusse dalle persone che per mota la tenevano da ciò disuasa, ella mai punto non rilasciò né la prontezza dell’animo né la diligenza dell’opera in proseguir la impresa. E ridotta quasi al fin della vita tuttavia a chi la visitava ella con meraviglia di tutti diceva che voleva far il monasterio ad onore di san Francesco.

10.482 Non morì infatti, come era stimato, da quella infirmità; ma sì bene stroppiata ne rimasse, onde ebbe tempo e modo di far il monasterio. L’opera seguita fe’ creder alla gente che ella da Dio ne avesse avuto rivelazione, atteso che in tanto pericolo di morte, ella cos tantissima perseverò sempre al proponimento di farlo. E fu considerato che avendo ella ridotto l’ospedale a termine, che omai senza lei poteva esser mantenuto, Iddio toltale la sanità le mettesse in pensiero quest’altra opera santa, alla quale perché attender poteva eziandio inferma, anzi la infirmità ne era incitamento, fecela per aumento dei meriti suoi ricader inferma.

Venne in quel tempo di Spagna quello eremita, per lo cui consiglio ella era venuta in Italia; e visitata da lui, essa subito, quantunque non l’avesse per l’adietro mai veduto, lo conobbe; e salutatolo lo ringraziò del consiglio datoli in Ispagna.

Accomodata dunque una casa che finalmente ella ebbe in forma di monastero e fattavi la clausura, facendosi ella portare in processione, e portando le monache i veli sopra il volto, vi entrò con tutte loro in processione. E perché ella sempre desiderato aveva di andare in Gierusalem, e si è creduto eziandio che da Cristo ne avesse per rivelazione avuta promessa, egli la ispirò o le rivelò che questo monastero ella chiamasse Gierusalemme, e così lo chiamò e si chiama fin ora il monastero di Gierusalemme.

10.483 Così il carico dell’ospedale rimase alla duchessa de Termini ed essa fu abbadessa del monastero per ordine di Paolo III, il quale la istituì abbadessa in vita.

Fu in tal guisa istituito, nel tempo di questa ultima riforma della francescana religione e della santa Chiesa, il primo monastero delle monache riformate di santa Chiara, le quali per la conformità che hanno coi capuccini sono dal volgo chiamate capuccine. Osservano senza privilegi la Regola di santa Chiara, come dal padre san Francesco e da lei è stata fatta. Non hanno cosa alcuna di proprio e vivono delle loro fatiche e di limosine come i frati. Vanno scalze; vestono di panni grossi e vili e attendono col servigio del coro alla santa orazione. E’ ben vero che non è loro come a’ frati vietato l’uso della pecunia, né è così stretto il numero di panni per averne la donna bisogno più che l’uomo. Ma dall’altra parte non possono le sane dormire sopra i sacconi, ancorché di paglia, e hanno da digiunare tutto l’anno, non mangiando mai carne.

10.484 Accettarono i frati la cura di quel monastero, come san Francesco la pigliò del primo di santa Chiara. Se ne sono poi fabricati degli altri in Perugia, in Agobbio, in Milano, in Brescia e si è procurato che essi ne pigliassero la cura; ma eglino l’hanno sempre ricusata e quantunque Giulio III con Breve commandasse loro che l’accettassero in Perugia, essi nondimeno ferono tanto che detto Breve fu rivocato. Ma Gregorio XIII l’anno 1576 li costrinse ad aver il governo del monastero che si fabricò in Roma.

  1.   Del governo che ella ebbe del monastero con molta santità. Della sua morte e miracoli

10.485 Racchiusa che ella fu nel monastero, tutta si diede all’orazione ed essercizi mentali, già che per la infirmità non poteva fare i corporali. E ammaestrava le sue figliuole nella osservanza della Regola secondo l’intenzione di san Francesco e di santa Chiara, nel che ella era guidata dal consiglio de’ frati capuccini, i quali le confessavano e governavano tutte. Sopra tutto ella era zelantissima del culto divino, a quello informando e infervorando le monache. E quando non era fatto ancora il coro, ella faceva celebrare il divin ufficio in una stanzetta, ove facendo visi portare assisteva con le altre. Frequentava la santissima comunione ogni otto giorni e tutte le feste occorrenti e quel giorno dava poca udienza, stando con assai lagrime sempre in orazione; e rimaneva come fuor di sé astratta.

Don Caetano, uno dei primi fondatori della religione de’ padri Teatini, spesso la visitava, perché altamente ella ragionava delle cose divine e ammirabili e profondi sentimenti dava alle divine Scritture, di che egli rimaneva stupito e pieno di consolazione, e diceva che da lei egli avea ricevuto gran lume, più che dalla lettura de’ libri. Così avveniva con gli altri, i quali a questo effetto la visitavano.

10.486 E quei che erano tribolati riportavano dalla sua presenza e ragionamenti gran consolazione, e i primi signori andavano a raccomandarsi alle sue orazioni e a sentire i suoi consigli e ragionamenti, ne’ quali alcuna volta rivelava loro le cose occulte. Laonde presso di tutti ella era in credito grandissimo e come un oracolo divino. Ma sopra tutti gli altri ella infervorava le sue monache, procurando quel poco tempo che le restava di vita di istituirle bene, procedendo in ogni cosa con gran spirito e prudenza sì nelle cose corporali come nelle spirituali. Ammoniva e correggeva con meraviglioso fervore e in generale e in speciale e molte volte indovinava le tentazioni delle sorelle, rivelando loro la interna disposizione del cuor loro; onde confuse e meravigliate si emendavano.

10.487 Una volta vide il demonio in forma di un moretto nero, il quale tentava una sorella, la quale stava ostinata, ricusando la santa ubidienza. Una suor Chiara, la quale stata le era carissima figliuola e talmente nella sua ubidienza era vissuta che ogni sera le andava a manifestare le tentazioni che avesse quel giorno avute, ed era sempre stata di santa vita, venne a morte, e stando per spirare, perduta la parola, ritornò e aprendo gli occhi disse con faccia allegra e sorridendo: «Mi allegro, mi allegro». Stando così la monaca per ispirare, la signora Lunga vide a canto a lei da una parte san Francesco e dall’altra sant’Antonio, i quali ivi stettero infin che ella spirò. In tal guisa manifestandosi la santità di amendue: la monaca, essendo dui santi; l’abbadessa, essi santi vedendo. E per consolar le sue figliuole e metter loro in credito, per edificarle, la monaca morta, rivelò che una persona avea intorno a quella monaca avuta quella visione, ma seppesi alla fine che essa era quella che avuta avea.

10.488 Una giovane entrata nel monastero per vestirsi, gravemente prima che ricevesse l’abito fu tentata di uscirsene, né per essortazioni che le facesse la santa donna volle ella mai achetarsi, stando con ferma risoluzione di volersene uscire. Allora la pietosa madre la pregò che almeno per un mese volesse aspettare; e se ne fe’ dare la parola. E fra tanto così caldamente pregò Iddio per lei che ella si contentò di pigliar l’abito; e pigliollo con gran divozione e perseverò nel monastero con santa vita.

Molte di così fatte operazioni la santa donna in quel santo monastero operò. Stette quattro anni in quel modo stroppiata al governo del monastero, ma giunta presso il fine della vita sua, il mese di agosto fu rapita come fuor di sé, e stava come insensibile, non pur respirando, essendovi presente ancora la duchessa di Termini; e in quel modo stette più di meza ora, onde si pensavano che ella fosse morta. Di che per certificarsi ferono molti strazii, coi quali la fecero rivenire; e subito ella con allegra faccia e sorridendo disse loro:

 «Iddio ve lo perdoni; non fossi io mai rivenuta, non fossi mai ritornata. O che cosa ho io veduta! O che ho io visto! Andaremo, andaremo!».

10.489 Suor Maria, sua fedelissima compagna e divota, molto la pregò volesse dire e rivelare che cosa ella veduto avesse; ma ella, sorridendo, non volle mai manifestarglielo.

Subito rinunziò l’ufficio dell’abbadessa e fece abbadessa una suor Girolama, la quale era stata monaca in altro monasterio ed era venuta in questo per desiderio di riforma e strettezza di vita. Parimenti fece la vicaria e le altre ufficiali del monasterio e si ritirò da ogni cura per apparecchiarsi alla morte, stando sempre come se ad ora per ora dovesse morire.

Fattasi in tal maniera, mostrò quel che eziandio prima fatto ella arebbe se avesse nel monasterio avuta superiore; impero ché prontissimamente ubidiva, come se fosse la minima sorella; né da questa umiltà si potè mai ritirare con quanti prieghi facessele l’abbadessa, dicendole che a lei toccava di commandare e di correggere. In tal guisa e con l’esempio e con le parole essortava le altre all’umile ubidienza. E stando quel poco tempo tutta raccolta in se stessa, altro non faceva che sermoni dell’ossevanza dei precetti di Dio e della Regola, della pace e unione, dell’umiltà, ubidienza e povertà, della mortificazione e dispregio di se medesimo, essortandole con molta effecacia a vincere se stesse. Il che con tanto fervore e spirito faceva e con tanta benignità, che tutte a lagrime le moveva e nell’amor di Dio le infervorava.

10.490 Due giorni prima che morisse fe’ loro un gran sermone,essortandole all’osservanza della Regola e alle altre virtù, ma singolarmente alla pace, usando le parole che Cristo disse agli apostoli: Vi do la mia pace, e la mia pace vi lascio. E abbracciandole tutte ad una ad una, raccommandolle in particolare alle più vecchie e pregò l’abbadessa ad aver cura di loro, aiutandole all’osservanza, avendo loro compassione e non lasciandole anco nei bisogni corporali mancar cosa alcuna.

Poi fecesi portare innanzi ad un Cricifisso che stava in una capella, ove molte ore stette mirando sempre con gli occhi fissi e poco parlando. Ma fecela per ubidienza l’abbadessa ritornare alla sua camera, ove più volte ragionò in secreto col suo confessore, che era fr. Francesco Liardo; e fra le altre cose gli disse che il Signor Iddio stava molto adirato con la città. E poco stette poi che successero i romori di Napoli. Ed essortava le monache a pregare Iddio che placasse l’ira sua. Fecesi ancora chiamare la duchessa di Termini, la quale tutto quel tempo stè con lei e più volte le ragionò segretamente e gli rivelò che poco anch’essa avea da campare.

10.491 Giunta al fine, videsi ch’ella combatteva col demonio, mostrandogli la faccia turbata e minacciandolo. Volle la sua fedelissima suor Maria confortarla, dicendo che non temesse; ma ella a lei rivolta dissele in suo linguaggio:

«Cagliá vos», cioè: Tacete!

E ponendosi il dito sopra la bocca le fe’ segno che tenesse silenzio, dicendo essa:

«Io tengo chi mi aiuta».

E voltandosi con allegro volto alla destra, ove era il Crocifisso, mostravalo con la mano alle sorelle, così accennando che egli era quello che l’aiutava.

E poco avanti lo spirare, voltatasi alle sorelle, disse loro:

«Sorelle, a voi pare che io abbia fatte gran cose di buone opere; ma io in niente di me stessa confido, ma tutta nel Signore».

E mostrando la punta del dito piccolo disse:

«Tantillo di fè mi ha salvata».

E questo disse con gran giocondità e con bellissima faccia. Tenne sempre il Crocefisso in mano. E poco dopo le dette parole, baciandolo, disse tre volte: Giesù! E spirò.

10.492 Fu posto il suo benedetto corpo avanti alla grata; e popolo infinito vi concorse, che tutti le baciavano i piedi e gridavano che quei piedi suoi odoravano; e la duchessa sopra tutti gli stava ai piedi piangendo e diceva che per mezo di lei ella si sarebbe salvata. E perché la signora avea lasciato che fosse sepolta con le sorelle, e non vi era ancora sepoltura, l’accomodarono in un deposito e la posero fra tanto sotto l’altare maggiore del coro.

La duchessa già dalla santa donna avvisata della sua vicina morte, si andò apparecchiando con una grandissima mutazione di vita. Fe’ testamento e distribuì molti de’ suoi beni all’ospedale e ad altri luoghi. E prima che morisse ebbe grazia di vedere la santa donna Maria Laurenzia che l’apparve bellissima e gloriosa. Il che ella poi andò di persona a raccontare alle monache per loro consolazione.

In capo dell’anno dopo la morte della santa donna, sentendosi la duchessa prossima la morte, disegnò d’entrare nel monastero, che già licenzia ne avea dal pontefice per morire là dentro. Ma Iddio che altramente già disposto avea, cotal grazia non le volle concedere; per questo, mentre ella al monastero andava per entrarvi, ricordandosi che avea da dare ordine ad alcune sue cose, ritornò all’ospedale con animo di subito ritornar al monastero. E questo fu una domenica. Ma tosto all’ospedale giunta, fu presa da una gotta e in capo di cinque giorni ivi se ne morì.

10.493 Lasciò però che con la signora Maria Laurenzia fosse seppellita. Il che volendosi fare, truovossi il corpo di essa signora tutto intiero e sano con li capelli e ungie delle mani e piedi cresciuteli come se fosse stata viva; e però tutti gridarono: Miracolo! Miracolo! E si tenne il suo corpo tutto il giorno nel coro, il quale odorava di viole con meraviglia di tutti. E volendo Iddio con altri miracoli ancora approvare la vita della santa donna, fece questo avvenire.

Eravi allora una sorella giovane, la quale in un lato avea una postema, alla quale fattavi di molti rimedi nulla giovato l’avea. Una suor Vittoria d’Afflitto, monaca di santa vita e devotissima, menò detta giovane ove era il corpo, e fatta insieme un poco d’orazione, pigliò la mano del corpo morto, e sopra la postema della giovane la pose; e tanto sto senza più altro rimedio ritornò sana.

10.494 Ma quello che segue fu certo miracolo maggiore. Non era assai il deposito per capire anco il corpo della duchessa, e però un maggior se ne fece. Qui volendosi porre il corpo della duchessa presso a quello della signora Lunga; questo, alzato da se stesso miracolosamente il braccio e istesolo verso la duchessa, la venne ad abbracciare, e così fermo rimase, acciò che sì come erano in vita amate, così non fossero nella morte divise. Furono a questo presenti quattro monache, cioè l’abbadessa, la vicaria, suor Maria e una vecchia suor Bernardina; quattro fabbricatori, cioè muratori, e un signor Gismondo. Questi tutti vedendo gridarono: Miracolo! Miracolo! Si sparse il caso per tutta la città, che fu cagione di molta divozione verso quella beata e di molti ringraziamenti fatti a Dio.

Fatta dopo sei mesi la sepoltura e volendosi in quella trasportare i corpi, si trovò il corpo della santa donna alquanto guasto e non più con tanto odore, per essere a quello della duchessa cotanto unito, il quale essendo ella corpulenta tosto si corruppe. E se ben posero quello della santa donna in un deposito da per sé nella sepoltura, nondimeno essendo il luogo umido, s’infracidò la cassa e parimente il corpo. Laonde occorrendo a sepellire una monica, veduto il corpo corrotto, pigliarono e nettarono la testa della beata, la quale testa ancora di viola odora.

10.495 Con questa si sono doppo fatti altri miracoli, di quali questi ne furono due.

Una suor Benedetta, la quale avea una gamba come perduta, perché spesso se le gonfiava e le veniva dentro la risipella; allora l’abbadessa e le sorelle pigliarono quella testa e fatta orazione e detta la colletta delle sante vedove, gliela posero sopra la gamba e subito passò il dolore e l’infiaggione, né mai più male alcun avuto vi ha.

Fatto dopo il monasterio nuovo, volendosi traslatare i corpi, trovavasi una monaca gravemente inferma con un dolore che la faceva spasimare; ma per avergliene essa data occasione non avea ardimento di manifestar questo suo male; ma tenevalo quanto poteva occulto. Che fare ella dunque? Avendosi a fare la detta traslazione, ebbe commodità di pigliar quella testa. Presela dunque e raccomandandosi caldamente alla beata sua madre, se la pose ove avea il male e subito guarì, né mai più vi ha sentito dolore alcuno.

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