S. Chiara

Chiara nasce ad Assisi nel 1194 da famiglia nobile, appartenente ai maiores della città. Nella notte della Domenica delle Palme del 1211 o 1212 (la data è incerta), accompagnata da Pacifica di Guelfuccio, fugge dalla casa paterna e raggiunge la Porziuncola, dove l’attendevano Francesco e i suoi primi frati. Nella chiesina di Santa Maria degli Angeli Francesco presiede il rito della tonsura (il taglio dei capelli) che trasforma Chiara da nobildonna (nobilis mulier) a donna di penitenza (mulier religiosa).

È l’epilogo di un percorso interiore che Dio ha illuminato per mezzo dell’esempio di Francesco: «L’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi penitenza» (FF 2787).
Francesco, dopo la tonsura, indirizzò Chiara dapprima presso le benedettine di San Paolo delle Badesse, a Bastia Umbra, poi presso una comunità di penitenti a Sant’Angelo di Panzo, alle pendici del monte Subasio. Prima della fuga dalla casa paterna, però, Chiara «vendette tutta la sua eredità e dettela alli poveri» (FF 3087).
Così, quando si presenta alla porta di San Paolo delle Abbadesse, non ha più la dote per essere accolta come monaca, ma può entrarvi solo come conversa, cioè come serva.
Da qui l’opposizione dei parenti che, diversamente, non avrebbero considerato umiliante la sistemazione di Chiara in un monastero ricco e importante come quello di San Paolo.

La fuga da casa, l’umile condizione vissuta a San Paolo delle Abbadesse, quella penitenziale di Sant’Angelo di Panzo, sono tutte tappe di un noviziato che convincono frate Francesco ad accettare Chiara, e con lei la sorella Agnese, che nel frattempo l’aveva raggiunta a Sant’Angelo di Panzo, nella sua fraternitas: «E così, per volontà del Signore e del beatissimo padre nostro Francesco, venimmo ad abitare accanto alla chiesa di San Damiano» (FF 2834).

Nell’ospitio annesso alla chiesina di San Damiano arrivarono una dopo l’altra anche Pacifica, Balvina, Filippa, Benvenuta, l’altra sorella carnale Beatrice, la madre Ortolana e molte altre donne, di Assisi e dintorni, fino a diventare in breve tempo una comunità di circa cinquanta suore.
All’inizio Chiara e le sue compagne affiancano i frati nel servizio negli hospitali e nei lebbrosari intorno ad Assisi: «Quando entravano nell’Ordine, nobili o no, tra le altre cose che venivano loro esposte, si diceva ch’era necessario servissero i lebbrosi e abitassero nelle loro case.» (FF 1730). Osservano la stessa forma vitae dei frati che Chiara trascriverà nel capitolo centrale della sua Regola: «vivere secondo la perfezione del santo Vangelo» (FF 2788).

Nel 1216 il canonico belga Giacomo da Vitry testimonia con ammirazione la presenza intorno a Perugia della nuova realtà religiosa: «Ho trovato, in quelle regioni, persone, d’ambo i sessi, ricchi e laici, che, spogliandosi di ogni proprietà per Cristo, abbandonavano il mondo. Si chiamavano frati minori, e sorelle minori» (FF 2205).
Dopo le disposizioni del Concilio Lateranense IV (1215), che obbligavano le nuove fondazioni religiose ad adottare una delle tre Regole già vigenti (benedettina, basiliana o agostiniana), Chiara fu costretta ad accettare l’ufficio di abbadessa e dunque la monasticizzazione di San Damiano.

Consapevole che le donazioni e le proprietà in comune, previste dalla Regola di San Benedetto, avrebbero distrutto il principio della “povertà” posto da frate Francesco a fondamento della loro forma vitae, Chiara si rivolge allora a Papa Innocenzo III chiedendogli un privilegium che consentisse alle Pauperes Dominae Sancti Damiani di conservare l’ispirazione francescana: «Volendo che la sua famiglia religiosa si nominasse con il nome della povertà, impetrò da Innocenzo III di buona memoria il privilegio della povertà» (FF 3186).
Questo “privilegio della povertà” concedeva a Chiara e alle sue sorores di vivere senza rendite di capitali, mobili o immobili, confidando solo nella Provvidenza del Signore. Poco prima della morte di frate Francesco San Damiano passò dalla giurisdizione vescovile sotto la protezione della Santa Sede entrando a far parte di quell’Ordo pauperum dominarum de Valle Spoleti sive Tuscia nato su iniziativa del cardinale Ugolino a partire dagli anni 1218-1219.

Era tanta l’ammirazione del cardinale Ugolino, il futuro Papa Gregorio IX, per Chiara e le sue sorelle, che mutò il nome dell’Ordo pauperum dominarum in Ordo Sancti Damiani. I monasteri ugoliniani, però, osservavano una formula vitae d’influenza benedettina, scritta dallo stesso cardinale, che prevedeva una rigidissima clausura.
Chiara alla fine l’accettò, ma in cambio chiese che le fosse confermato il Privilegium paupertatis di Innocenzo III, ciò che Ugolino, divenuto Papa Gregorio IX, concesse nel 1228.

Chiara custodì il Privilegium gelosamente, senza timori reverenziali per nessuno: «essa tanto amò la povertà – al processo di canonizzazione Suor Benvenuta da Perugia ha ricordato – che né papa Gregorio, né lo vescovo Ostiense poddero mai fare che essa fusse contenta de recevere alcuna possessione» (FF 2965). La preoccupazione di salvare l’origine francescana di San Damiano spinse poi Chiara, negli ultimi anni della sua vita, nonostante la malattia che l’affliggeva, a scrivere una Regola simile a quella dei Frati Minori.

La Regola di Chiara (forma di vita) è la prima regola, nella storia della Chiesa, scritta da una donna per delle donne e le fu confermata da un commosso Papa Innocenzo IV che si recò di persona a San Damiano per portare a Chiara morente la sua benedizione e consegnarle la bolla di approvazione della Regola.
Il giorno dopo, l’11 agosto 1253, Chiara muore. Due anni più tardi, il 15 agosto1255, Alessandro IV la proclamò Santa con la bolla Clara claris praeclara.

La forma di vita

La Regola di santa Chiara del 1253, o meglio la Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere di San Damiano, di cui Chiara ebbe l’approvazione dalla Sede Apostolica solo due giorni prima della sua morte (9 agosto 1253), è il punto di arrivo di una serie di esperienze, attraverso cui il gruppo di San Damiano è passato, per decenni, scivolando sempre invitto attraverso pressioni esterne per mitigare la povertà assoluta, in comune oltre che personale, che – come è il nucleo centrale della Regola definitiva (c. VI) – così fu certamente anche il primo fondamento della fraternità, nella «formula vitae» iniziale, data da san Francesco al sorgere del nuovo Ordine e citata dalla Regola stessa al cap. VI, oltre che da altre fonti.
Attraverso un iter complesso, variamente studiato, la formula iniziale data da san Francesco al monastero di San Damiano (1211-1218) si evolve, senza nulla perdere tuttavia di quella ispirazione fondamentale che ha determinato l’Ordine nella mente e nel cuore di san Francesco.
Per questo la Regola del 1253 – a ventisette anni dalla morte di san Francesco – è detta, con piena verità, dalla Sede Apostolica: «la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare». (Regola, 16).
Alla base della forma di vita di santa Chiara è l’esperienza dell’umiltà e della povertà del Figlio di Dio, il messaggio evangelico del «perdere la propria vita» (Mt. 10, 39) sui passi di Cristo e della sua Madre poverella. Un retrocedere di sé, di fronte a un «dono» di grazia, la stessa di san Francesco: «la grazia di fare penitenza… vivendo secondo la perfezione del santo Vangelo» (Regola c. VI, 1.3).
E, accanto a questa, l’altra grazia, ugualmente evangelica e francescana della fraternità, anch’essa «dono», in cui non più il singolo, ma l’intero gruppo fa esperienza di quell’amore che comunica e stringe, in un’unica vita, quanti da Dio sono nati.
La divisione in capitoli non esiste nel testo originale, che si conserva tra le reliquie del Protomonastero di Santa Chiara in Assisi. La traduzione, di F. OLGIATI è sulla recente edizione di I. BOCCALI, Concordantiae verbales opusculorum S. Francisci et S. Clarae Assisiensium, S. Mariae Angelorum – Assisii 1976, pp. 167-184.

Scritti e fonti
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