Don Sergio Manarolo nasceva il 14 gennaio 1940 e volava improvvisamente in braccio a Gesù mercoledì 10 aprile 2024.

 

Educatore responsabile del Seminario. 

Vice Parroco della Parrocchia Regina Pacis.  

Cappellano Monache Cappuccine del SS.mo Sacramento,

Assistente M.A.C. (Movimento Apostolico Ciechi).

Delegato diocesano per la FACI (Federazione tra le Associazioni del Clero in Italia)

Assistente Ecclesiastico del Centro Volontari della Sofferenza.

Membro attivo della Mutua Fraternità Sacerdotale.

 

Il don Sergio prete speciale lo conosciamo in tanti. Qui un abbozzo di quelle giovanili radici dell’albero che avrebbe poi regalato alle persone, alla Chiesa, ai lontani, i suoi fiori e frutti più originali.

 Nato nel 1940, in tempo di seconda guerra mondiale. E questo dice già tanto.

Era entrato in Seminario già grandicello, giovane lavoratore.

 I ragazzi del Seminario Minore al “Chiappeto” prima e i giovani in Via Porta degli Archi poi, possedevano una educazione diciamo completa, promossa dai diversi anni di “prova vocazionale”.      Ma intorno agli ultimi anni ’50 bussarono alle porte del Seminario altri giovani, come chi riesce a prendere l’ultimo treno, chi prima chi dopo, per le diverse strade che il Signore per loro disegnava…      Tra questi ultimi arrivati c’era proprio Sergio, trasferito da Borgo Incrociati in quel di Sestri. Per noi dell’ultima ora, era pronto un sottile libretto: “per seminaristi tardivi”, come don Sergio ed altri.  Sergio faceva la figura di quelli appunto che, arrivati in ritardo sugli anni giusti, faticavano a stare al passo con gli altri, come se avessero perso degli anni per sempre.    Ma si scopriva ben presto una cosa strana: Sergio, arrivato fra gli ultimi, era invece fra i più voluti bene dai compagni di classe. Non tanto per le pagelle di scuola, quanto per quelle della persona, già maturata anzi tempo, alla scuola della vita.

Perfino il profilo fisico del sorriso di Sergio faceva pensare a qualcosa di bello, raro, semplice, puro, speciale.    Bisogna però lavorare adesso di fantasia per pensarlo allora, nel primo impatto con i suoi capelli rossi carota, come scottati dal sole: belli. Il suo sguardo appariva dimesso, riservato, ma capace di bussare anche alla porta dei nostri cuori già ambientati, tra gli amici della cosiddetta camerata: una dozzina in tutto di ragazzi.    Saremmo arrivati solo in otto all’altare. All’Ordinazione sacerdotale.

Sergio lo chiamavamo “Manna”: l’abbreviazione del cognome Manarolo.  Ma chissà, forse era proprio un fiocco di quella “manna del Cielo” che ci voleva già allora per credere in Gesù, anche in quei tempi ben meno di ora cattolici. Facile prendere in giro ragazzi con una gonna nera e lunga per strada!

Fin qui la vita giovanile di don Sergio Manarolo.

Poi dopo l’ordinazione, da sempre fissata nella nostra Diocesi nel giorno 29 giugno, il nostro anno era il 1965.

Da allora ogni giorno per don Sergio è stato una scoperta e una nuova consapevolezza di essere sacerdote di Cristo, dentro un corpo presbiterale, fratelli sacerdoti di cui era fiero. Quest’anno, dopo la messa Crismale del Giovedì Santo, ci ha raccontato durante l’omelia della Messa in Coena Domini la sua esperienza in cattedrale, e ci ha detto di aver contato 150 sacerdoti lì presenti col Vescovo, per rendere grazie del dono del sacerdozio; ci diceva:

“150 SACERDOTI, 150 STORIE D’AMORE”.   Così ha vissuto e per grazia gli è stato dato di sperimentare il dono del Signore che col suo volto e il suo sorriso “diceva”.

Ora in velocissima rassegna questi quasi 60 anni sacerdotali che, come dicevamo, molti conoscono.    A Don Sergio, appena ordinato, considerato forse come il più affidabile dai Superiori, viene affidato nel Seminario il delicatissimo compito di accompagnarci nella scelta verso il sì per sempre. Anche al celibato per sempre, o forse il Signore ti chiama alla famiglia e la tua strada è un’altra…

Anche noi ragazzi del Seminario, davanti a un esempio come don Sergio, nel suo servizio di Vice Prefetto, gli volevamo proprio bene: sapeva ordinare ben più col sorriso e lo sguardo che con le parole.

 E poi la salute: è stata per lui sempre una logorante difficoltà, mai tradita dal piangersi addosso.  Così anche il suo evangelico, troppo breve, servizio nella Parrocchia di Regina Pacis veniva interrotto:.. Tutta la sua vita avrebbe servito il Signore e le anime con la sua santità più che con la sua sanità.

Già a Regina Pacis, nonostante il breve servizio, si diceva che di don Sergio s’intravvedeva dal di fuori la trasparenza interiore di somiglianza con Gesù.!

 Forse il suo tesoro più grande e perciò più nascosto, fu la sua più che quarantennale, sempre radiosa, attenzione al monastero delle Monache Cappuccine del Santissimo Sacramento, in Via Chiodo.

Al monastero delle Clarisse Cappuccine (dopo la vicenda sofferta dell’alluvione che aveva così duramente provato Genova e dopo il suo impegno, che aveva aiutati tanti e inciso profondamente sul suo stato di salute), al monastero lo aveva condotto il cardinal Siri che lo conosceva molto bene, e sapeva di poterlo affidare ad una comunità monastica che se ne prendesse cura e ad un tempo potesse beneficiare della sua ricchezza semplice di uomo di Dio, come cappellano. E tale è stato per 51 anni.

Don Sergio, Terziario Francescano, con il nome di Fra’ Deo Gratias. Questo nome gli era particolarmente caro per la familiarità con San Felice da Cantalice.  Questo era infatti il saluto del Santo Cappuccino. Questo nome calzava a pennello per don Sergio, che lungo lo scorrere del tempo, ha maturato e sviluppato una caratteristica peculiare, e molto evidente.

Quella di ringraziare sempre, di essere sempre grato, per ogni cosa, per ogni incontro, per ogni volto, per ogni fatto, certo che il Signore tesse la trama dei nostri giorni con un Disegno grande, e buono, perché noi impariamo a riconoscerlo nella realtà che ci pone innanzi.

Il Signore lo ha educato e lui si è lasciato plasmare nella fedeltà quotidiana fatta di impegno, di lavoro instancabile per le persone, per il monastero, per i fratelli sacerdoti, col desiderio crescente di imparare sempre, mettendo a frutto i suoi doni naturali, grato per quegli anni di lavoro da “quasi bambino”. Grato sempre di quei volti di compagni che vedeva “affidati” a lui anche se loro coetaneo. Grato per i primi sacerdoti che il Signore gli aveva fatto incontrare, “don Ga” e don “I” (come familiarmente venivano chiamati dai ragazzi) della Comunità di Monteleco. Grato per come il Signore dipanava la sua vita. E dei “figli” che di volta in volta il Signore gli donava.

Grato di ogni ispirazione, anche durante la grande prova del Covid, quando non ha tralasciato un sol giorno di celebrare l’Eucaristia nella Cappella del Monastero, ligio ed obbediente a tutte le norme prescritte. Grato per quello che avrebbe potuto essere tempo di limitazione e chiusura, ed invece si era rivelato prezioso per andare a ripescare i testi di latino, di greco e riprendere lo studio dell’ebraico (fino ad iscriversi ad un corso via web tenuto da un rabbino).  Gli studi del Seminario ora rigustati da adulto più consapevole, con la voglia di studiare ed imparare, e scoprire meglio le ricchezze delle Scritture Sante per poterle poi trasmettere e condividere nelle omelie.

Grato per il pellegrinaggio in Terra Santa. Nel settembre 2022.

Grato per l’opportunità di poter andare per un tempo in missione in Madagascar, nel 2023.

Ogni passo era nella Chiesa, per il popolo di Dio.

Ogni giorno il centro era la Santa Messa.

Ed ogni volta con la consapevolezza nuova di operare “in persona Christi”.

Fino alla Santa Pasqua 2024.

Ogni volta un giorno nuovo, dono del Signore.

Un incontro di discernimento illuminante, sempre attento, mai invadente, lo faceva ricercato direttore spirituale non solo delle monache, ma da tutta Genova. Un campo evangelico, il suo, solcato dal vigore di un crocifisso come aratro, ma già ne coglievi da lontano la faticata fragranza del grano in arrivo.

La sua fragilità fisica non gli procurava mai le comuni distanze dalla sofferenza. La Croce diventava testimoniata, cercata, amata addirittura come felicitante prossimità. Un miracolo di grazia: il gruppo dei Volontari della sofferenza ”Se Dio mi vuole bene  anche così anche io mi voglio così!.  Malato o in carrozza.     Nella villeggiatura estiva di Re nella lombarda Val d’Ossola, don Sergio portava tanti prigionieri del dolore tutto l’anno a respirare aria buona ma anche tanto Vangelo! Sotto quel sole azzurro intenso, all’ombra profumata degli abeti, insegnava che il dolore, innaffia l’Amore Come il divino Seminatore, lì don Sergio spargeva senza risparmi semi di serenità. Lassù testimoniava come portare le proprie croci, chiodi arrugginiti qui in terra, fiori per il giardino che non appassisce..  E a chi pensa che un cieco non ci vede, don Sergio faceva intravvedere come i puri di cuore delle beatitudini già qui in terra intravvedano Dio! E sembrava proprio che facesse vedere ai tanti amici non vedenti quello che lui, don Sergio, già toccava, carezzandone i bianchi capelli e le veloci carrozzelle. Dire in poche parole chi era, don Sergio?   Ripetiamo come dicevano tutti. “E’ un pretino santo!”

 Siamo grati al Signore per questo fratello santo, questo sacerdote santo, che bruciava di sollecitudine per coloro che stavano per varcare la soglia della vita verso la Vita vera, e dischiudere per ciascuno la porta del Cuore di Cristo anche con i doni della Madre Chiesa che abbraccia ogni figlio e dona l’Indulgenza plenaria. Il dono, la grazia del Perdono pieno e totale.  A noi tutti non ha cessato di inculcare questa fiducia grande nella persona di Gesù ricco di Misericordia, che grida al Padre quando è giunta l’Ora: “Padre, dove sono io voglio che siano anche coloro che Tu mi hai dato”.

 

don Prospero Bonzani e Monache Cappuccine del Santissimo Sacramento

SCARICA IL PDF

 

error: Il contenuto è protetto!